Di fronte alle ferite del passato ci sono tre false credenze. La prima è che
siamo tutti convinti del fatto che quel che siamo oggi sia causato da quanto ci è accaduto in passato
e che ad esempio il nostro carattere sia il risultato dei traumi, delle esperienze difficili vissute nell’infanzia. Silvia narra la sua storia:
“Sono insicura perché mio papà mi ha abbandonata quando ero piccola”.
Ma è come dire: ciò che io sono è condizionato per sempre da sfortune e da traumi su cui non ho più alcuna possibilità d’intervento. Potrò mai essere serena se sono stata abbandonata da piccola? È impossibile, sarò per tutta la vita “l’abbandonata”. Al massimo potrò conoscermi, e forse addirittura curarmi, risalendo alle cause, ai traumi, alle colpe che hanno determinato ciò che sono diventata. Potrò diventare “un’abbandonata consapevole” e stare un po’ meglio. Sapendo il perché, potrò essere un’abbandonata che non si vergogna di esserlo e forse anche un’abbandonata “abbastanza felice”. Ma così il passato non passa mai, anzi diventa l’unica vera realtà. Il presente è solo il suo riflesso e la cura, nei casi fortunati, consiste nel riconoscerlo e nell’accettarlo in modo da lenire i suoi effetti più disturbanti.
Molto spesso tanti psicologi dicono ai loro pazienti che non è possibile guarire dalle ferite del passato. E al tempo stesso mentre lo fanno dicono che è necessario scavare nel passato per risolvere i problemi. In realtà è proprio questa inutile ricerca delle cause a generare sofferenza. Questa impostazione rischia di generare dipendenza dalla terapia e rimanere incastrati in un vicolo cieco.
Scoprirai invece, leggendo l’articolo, che per cambiare non è necessario fare uno scavo archeologico nel passato. Quello che invece serve è DISIDENTIFICARSI dalla credenza secondo cui il tuo passato ha condizionato il tuo presente.
Stare nel passato infatti porta a pensarci continuamente, a cercare di capirne le cause, a darsi colpe o attribuirle ad altri, al fato al destino, rimanendo così impantanati in un circolo vizioso senza fine. Ci iniziamo a chiedere perché proprio a me? Cosa ho fatto di male? Perché mi è capitato? Tutte domande che nei fatti non hanno una risposta. E questa è la seconda falsa credenza che abbiamo:
ovvero che trovare la causa della nostra sofferenza la posso risolvere
Ma è proprio la ricerca delle cause ad allontanare dalla soluzione.
Come dice il filosofo Immanuel Kant “La maggioranza dei problemi non deriva dalle risposte che ci diamo ma dalle domande che ci poniamo”. Le vere cause di un problema non sono mai nel passato, ma in un presente nel quale non siamo realmente connessi con il centro. Se ti crolla il tetto in testa stai lì a preoccuparti del come e del perché questo sia accaduto o cerchi una soluzione?
La terza credenze sbagliata è che
Parlare e riparlare delle proprie ferite aiuti a risolverle.
Invece è vero proprio il contrario: parlare e riparlare dei propri problemi li rende cronici. Bisogna invece chiedersi cosa si è dimenticato di sé.
Come fare quindi ad allontanarsi dall’identificazione con le ferite del passato?
In primis le tecniche psicoenergetiche. Esse rappresentano un modo per trovare dento di sé un punto inviolabile, una forza smisurata che non è quella forza di tipo razionale che solitamente utilizziamo per combattere contro i pensieri, bensì quella forza interiore che attinge a una energia universale che davvero ti può permettere di lasciar andare.
La prima tecnica quindi è la seguente:
stimolando il punto definito KARATE
con un picchiettamento dì a voce alta:
“Anche se sono convinto che il mio malessere di oggi dipenda dalle ferite del mio passato tutto questo può cambiare e cambia mentre ne divento consapevole”
“Anche se una parte di me crede che il mio malessere di oggi dipenda dalle ferite del mio passato, accolgo questa credenza mentre la trasformo”
“Anche se finora ho vissuto con l’idea che il mio malessere di oggi dipenda dalle ferite del mio passato, mi apro alla possibilità di cambiare, in accordo con la mia Essenza “
Poi sulla base dello schema
fai una pressione con la mano sul primo punto sotto l’ombelico e di
“Libero l’energia trattenuta in questa credenza e la rimando al giusto tempo e spazio a cui appartiene”.
Poi inspira, trattieni 5 secondi, e poi espira. Inspira, trattieni 5 secondi, e poi espira. Inspira, trattieni 5 secondi, e poi espira. Poi passa al secondo punto in mezzo al petto e di
“Lascio andare ogni attaccamento emotivo a questa credenza”.
E di nuovo per tre volte inspira, trattieni 5 secondi, e poi espira. E infine sul terzo punto in mezzo alla fronte di
“riprogrammo, riprogrammo, riprogrammo tutti i pensieri e le emozioni che stanno dietro a questa credenza”.
E ancora per tre volte inspira, trattieni 5 secondi, e poi espira.
Cosa cambia nei tuoi pensieri, nelle tue emozioni?
Ora, consolida la nuova credenza mettendo le dita così
mentre dici (o pensi) “Armonizzo tutti i miei sistemi a questa nuova credenza“
Ecco quindi che le domande giuste diventano fondamentali se si vogliono trovare risposte adeguate. In generale ritrovare gli istinti, l’intuito, ovvero la propria dimensione esistenziale, porta fuori dal vicolo cieco: i pensieri che devi avere non devono mai fermarsi all’idea tutta esterna di dover risolvere le ferite del passato, bensì devi chiederti queste cose:
- che cosa so fare mettendo la mia personale impronta nelle cose? (ovvero il tuo personale modo di fare quella cosa, seppur apparentemente banale…non devono necessariamente essere cose grandiose: ad esempio quel modo solo tuo di vestirti scegliendo con cura gli abbinamenti, o di apparecchiare la tavola selezionando i colori ecc)
- Cosa mi piaceva fare e non faccio più?
- Cosa mi fa stare così bene che quasi dimentico il resto?
- Cosa non sto vivendo come vorrei?
- Quale parte di me non sto considerando abbastanza?
- Che cosa sta premendo in me per uscire e a cui non sto dando abbastanza spazio?
- Quali azioni e modi di essere mi vengono naturali senza sforzo?
- Di cosa ho veramente voglia adesso?
- Quali immagini si affacciano dentro di me se penso a tutti questi aspetti?
Perché parlare dei problemi li rende cronici. È importante invece chiedersi cosa si è dimenticato di sé.