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Cosa è la psicosomatica

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Vorrei cominciare a fare un po’ di chiarezza su cos’è davvero la psicosomatica. Questo termine, infatti, è stato grandemente inflazionato, travisato e usato in modo grandemente scorretto. La psicosomatica, ufficialmente, nasce negli anni Trenta, e in particolare grazie alla scuola di Chicago di F. Alexander. Il problema della cura di manifestazioni somatiche di origine psichica è però ben più antico, potendosi far risalire addirittura all’insegnamento ippocratico. Sin dai tempi del suo esordio, tuttavia, la psicosomatica è nata come quella disciplina che si è interessata di tutti quei disturbi che a medicina non sapeva spiegare e che rimanevano dunque “senza causa nota”, o “senza una spiegazione medica ufficiale”. Questo però ha instillato nella mente delle persone un’idea estremamente sbagliata, idea che è stata poi rafforzata dalla cultura medica successiva: ovvero la psicosomatica ha finito per acquisire caratteristiche negative, ovvero in questo grande calderone finiscono tutti quei casi “inspiegabili”, senza una causa nota, quei casi che non guariscono con nulla o che se guariscono hanno continue ricadute. Il medico stesso finisce per etichettare come psicosomatico tutto ciò che lui non sa spiegare: ecco perché il paziente si ribella a questo, perché si sente non compreso nel profondo. E la psicosomatica finisce per rappresentare quel limbo negativo dove finiscono i casi di cui il medico non si sa occupare. La nuova concezione olistica della psicosomatica è invece ben diversa: questa concezione si occupa di come la psiche si manifesta sul corpo e in tale ottica TUTTO È PSICOSOMATICO. Nel senso che tutti i sintomi, in quanto psiche e soma sono un tutto inscindibile, sono al tempo stesso psichici e somatici, ovvero sono sia un messaggio dell’interiorità che una espressione somatica. Ma l’espressione somatica è solo, appunto, un epifenomeno di un qualcosa di ben più complesso. e se non si agisce su quello possiamo anche prendere tutti i farmaci che vogliamo, ma il problema si ripresenterà successivamente in altra forma.

In che senso “tutto è psicosomatico”?

Quando si afferma questo non si intende che un dato disturbo non esiste. Psicosomatico non è sinonimo di “è tutto nella tua testa”, come invece ci sentiamo dire da alcuni medici assolutamente impreparati in materia. Tutto è psicosomatico nel senso che tutti i sintomi infatti hanno un più profondo significato per la vita di ognuno di noi: trasmettono un messaggio che viene dalla psiche. E l’unico modo per comprender questo messaggio è dunque quello di non combatterlo subito con i farmaci o tentare di scacciarlo in altri modi. L’unica strada di guarigione che il paziente è quella di guardare dentro di sé ed entrare in comunicazione coi propri sintomi, se vuole conoscerne il
messaggio e agire di conseguenza per guarire. Deve essere disposto a mettersi profondamente in discussione e a integrare a livello cosciente e consapevole quello che il sintomo cerca di fargli capire a livello fisico. Se il sintomo è sorto è infatti perché qualche componente del Sè nelle profondità della psiche e da lì si è manifestata nel corpo, così la guarigione è il processo inverso: il messaggio del sintomo deve essere accolto, compreso e quindi integrato nel proprio Sè. Il sintomo viene così portato a livello di coscienza ed esautorato quindi dalla sua esistenza prettamente materiale e manifesta: da una manifestazione corporea a una manifestazione coscienziale

Cosa si intende con “Linguaggio simbolico di sintomi e malattie”?

Innanzitutto è bene tener presente che non è affatto casuale che un disagio interiore si esprima in una sede del soma piuttosto che in un’altra. 
Lo psicosoma è infatti quella entità che taluni chiamano anima, essenza, Sè superiore, psiche, che rappresenta proprio la nostra natura profonda. Questa entità non si esprime in modo logico-razionale come la nostra mente conscia dominata dalla corteccia prefrontale, ma è qualcosa di estremamente sottile e impalpabile (definito anche infatti “corpo sottile”, su cui agiscono ad esempio i fiori di bach) che sostanzialmente comunica attraverso immagini e simboli, avendo esso una natura principalmente analogica e simbolica, contro il pensiero razionale che è di tipo digitale. Ebbene: il principio simbolico è lo stesso che guida l’interpretazione dei sogni: nel sogno ogni elemento che compare ha un preciso significato universale che però va poi adeguato alla personalità e alla storia di vita del sognatore. Gli organi esprimono il loro linguaggio allo stesso modo, ovvero in modo analogico. Ogni organo e apparato infatti, hanno un preciso significato simbolico legato alla loro funzione e pian piano li scopriremo tutti . Ad esempio l’apparato digerente non solo digerisce cibi ma per analogia anche vissuti, emozioni, sentimenti, climi relazionali. L’apparato genitale non è solo quello legato alla riproduzione di una vita ma è legato per analogia alla rinascita (di sè stessi in primis), alla circolazione delle energie dell’eros, del femminile, della creatività. La pelle non è solo la barriera che protegge il corpo dagli agenti esterni di tipo infettivo, ambientale ecc, bensì è per analogia la prima difesa che abbiamo a livello relazionale nei confronti del mondo esterno. Potremmo dire  che “Il corpo è un sogno della mente”. La malattia parla in questo senso un linguaggio simbolico esattamente come fanno i sogni. Come nei sogni abbiamo un significato manifesto (l’immagine onirica) e un significato latente (cosa significa questa immagine inconscia per la coscienza), quindi dobbiamo interpretare il sogno se vogliamo accedere al suo messaggio; allo stesso modo  un sintomo o una malattia sono il contenuto manifesto di aspetti sottostanti che vanno sviscerati accuratamente. In questo senso la malattia è una “finestra aperta verso l’inconscio

Il linguaggio come via per accedere al significato simbolico dei sintomi

Abbiamo visto che ogni sintomo ha un significato simbolico. Questo aspetto lo possiamo ravvisare egregiamente nel modo in cui parliamo quando descriviamo i nostri sintomi. Infatti quando una persona sta parlando dei suoi sintomi in realtà sta già dicendo qualcosa sulla sua condizione interiore. Quando diciamo che abbiamo un “nodo in gola” è perché qualcosa di non detto e non chiarito non è stato espresso e dunque è rimasto bloccato in gola, dove risiedono le corde vocali; quando diciamo che si ha “un peso sullo stomaco” è perché troppi rospi sono stati ingoiati passivamente e noi non abbiamo fatto nulla per impedirlo. Quando un dolore “ci trafigge” è perché ci sentiamo pugnalati da qualcuno o qualcosa. Avere un bruciore da qualche parte è similare a quando diciamo “mi fa bruciare di rabbia”: quindi le irritazioni (di qualunque genere esse siano) sono sempre legate alla rabbia che da qualche parte in noi ci sta bruciando, irritando. Ancora, una persona che a causa di un eczema vuole “strapparsi la pelle” sta in realtà cercando di togliere un confine che avverte come limitato verso il mondo esterno, Ricordiamo infatti che la pelle simboleggia proprio il confine relazionale che abbiamo nei confronti degli altri. Insomma, nel modo stesso in cui descriviamo un sintomo possiamo cominciare a ravvedere un significato che riguarda la nostra vita. Se poi a questo uniamo anche il significato simbolico della zona colpita dal sintomo allora possiamo arrivare a una comprensione maggiore del messaggio che lo psicosoma ci vuole inviare. In tal senso, dunque, non è la psiche a causare i sintomi. 

Cosa succede se tento di scacciare un sintomo

Il nostro approccio con i malesseri e i sintomi, sia fisici che psicologici, è fondamentalmente sbagliato. Di fronte a un sintomo il nostro primo scopo e pensiero è quello di mandarlo via al più presto possibile: e così ricorriamo ai farmaci per zittire questo ospite indesiderato. Tuttavia, come abbiamo visto nei post precedenti, se il sintomo è un messaggio è come se io ricacciassi fuori dalla porta una persona che è venuta a dirmi qualcosa. In genere se quella persona ha un messaggio importante cosa tenterà di fare? Troverà altre vie per recapitare il messaggio, entra dalla finestra magari, vi assilla di telefonate e di biglietti, finanche sfondarvi la porta di casa se necessario. Ergo: io posso anche mettere a tacere il sintomo per non ascoltarlo, ma i risultati che otterò potranno essere due:

1) Il sintomo diventerà ancora più forte per farsi sentire
2) Il sintomo ricomparirà appena finito l’effetto del farmaco 
3) Il sintomo sparirà in un distretto corporeo per comparire in un altro.

I farmaci non sono dei curativi, sono dei sintomatici, si limitano a rimuovere il messaggio del sintomo. La vera cura si ha solo con l’evoluzione della coscienza che ha portato ai sintomi. È un po’ come quando si accende la spia rossa in una macchina: il meccanico agirà sulla spia rossa o sulla causa che l’ha fatta accendere? E allora fate lo stesso voi, il vostro corpo è assai più complesso di una macchina

Inutile cercare le cause di un sintomo

La medicina classica è causalista e determinista. Da sempre l’impegno della medicina, sin dai tempi della dissezione anatomica dei cadaveri, è stato rivolto a trovare la causa della malattia, l’agente patogeno. E così la gastrite è spesso “causata” dall’ Helicobacter pylori, la cistite è “causata” dall’Escherichia Coli, ecc. Dall’epoca del positivismo si è instaurata nella logica umana quella ricerca della causa che relega tutto, anche i rapporti umani, a una incessante ricerca di catene causa-effetto che producono un forte riduzionismo deterministico, soprattutto nelle questioni riguardanti lo psicosoma, la cui complessità non può essere risolta da semplici catene causali. Il punto è, sostanzialmente, non fermarsi alla prima catena causale trovata. Rimanendo nel’esempio della cistite, perché l’E. Coli ha trovato un terreno fertile nella mia vescica e uretra? Forse perché il rapporto acido-base è alterato. Ma perché questo rapporto è alterato? Andando sempre più alla ricerca della causa si scopre che in realtà bisogna andare molto più indietro e molto più a fondo, ovvero a un piano psicologico immanente allo psicosoma che ci compone. Questo giochetto può essere

portato avanti all’infinito, perché anche se a forza di ricercare la causa si arriva al bigbang, resta sempre aperta la questione della causa del bigbang. La malattia non è dunque una causa, bensì una MANIFESTAZIONE di un qualcosa che è parte stessa del nostro essere. Intendiamoci, il nostro intento non è quello di negare i progressi della medicina, così come l’astrofisico non negherà mai i progressi fatti per arrivare al big bang. Ma se si continua con la catena causalista non si comprenderà né la causa prima del big bang né della malattia e quindi non mi basterà eliminare l’E. Coli per risolvere ciò che ha portato quella cistite a manifestarsi. Eliminerò solo il sintomo, ma non l’essenza che lo ha generato.

Dalla ricerca della causa all’essenza prima della malattia

Sostanzialmente non sono i batteri, i virus, i funghi ecc a provocare la malattia, bensì, SONO I MEZZI DI CUI LO PSICOSOMA SI SERVE PER INVIARE IL SUO MESSAGGIO. Rudiger Dahlke fa a tal proposito l’illuminante esempio del pittore: né colori né tela danno origine a un quadro – è l’uomo che li utilizza come mezzi per realizzare il proprio quadro. 

Quindi, se ricercare le cause non ha senso, cosa dobbiamo fare con i nostri sintomi? Di certo non si può mettere in discussione il fatto che l’E. Coli sia responsabile della cistite, ma bisogna andare ben oltre questo. Per l’interpretazione psicosomatica dei sintomi le catene causali fisiologiche, morfologiche, chimiche, nervose, ecc., che portano alla realizzazione del sintomo stesso, sono irrilevanti. Sostanzialmente bisogna andare a ripescare il momento primo in cui il sintomo ha fatto la sua comparsa e porsi delle domande molto approfondite: quali pensieri avevo nel periodo in cui è apparso il sintomo? Quali preoccupazioni? C’erano stati o erano alle porte cambiamenti importanti? Spesso e volentieri non si arriva a queste risposte da soli perché in genere si manifesta nel corpo proprio ciò di cui non siamo consapevoli. Quindi laddove da soli non si riesca a interrogarsi sul sento di un sintomo è necessario l’aiuto di uno psicologo ad approccio psicosomatico

Il messaggio del sintomo

Quasi tutti i sintomi costringono a modificare la nostra vita. Da un lato i sintomi ci impediscono di fare cose che avremmo voluto/dovuto fare, dall’altro ci costringono a farne altre che non vorremmo fare. Per esempio un’influenza ci impedisce di andare a un incontro con amici e ci costringe a restare a letto. Una gamba rotta ci impedisce di fare dello sport e ci costringe al riposo e a star fermi. ogni organo e apparato diventa in questo senso il depositario di una serie di funzioni simboliche che per analogia si legano alla funzione reale. E così se descriviamo una gastrite con una sensazione di avere sempre un peso allo stomaco dobbiamo chiederci quale persona/situazione ci sta appesantendo in questo momento della nostra vita: se abbiamo un arrossamento cutaneo che ci fa sembrare di avere l’orticaria dobbiamo chiederci a quale persona/situazione siamo allergici  o da cosa ci stiamo lasciando invadere; se avvertiamo una sensazione di mancanza d’aria ci dobbiamo chiedere chi o cosa ce la sta togliendo. Se analizziamo bene questi aspetti possiamo comprendere qual è il messaggio del sintomo. Una modificazione forzata dello stile di vita dovrebbe quindi essere analizzata seriamente se vogliamo comprendere dove il sintomo ci vuole portare. Il problema sta nel fatto che la persona tende a opporsi a questi cambiamenti, e fa di tutto, compreso imbottirsi di farmaci inutili, per riportare lo status quo ma così facendo ostacola il processo evolutivo che il sintomo cerca di mettere in atto. In genere esso interviene laddove viviamo in modo unilaterale: un superattivo viene costretto a starsene tranquillo a casa, l’agitato viene impedito nei suoi movimenti, colui che necessita sempre della presenza altrui viene isolato ecc… Il sintomo dunque, getta luce su parti Ombra, ovvero parti di noi che non accettiamo di avere: i Sé Rinnegati. Ecco che dunque, ogni tentativo di “tornare quello che ero prima” non è che una condanna alla sofferenza, perché lo psicosoma, che ci piaccia o no, ci guiderà sempre e comunque verso l’evoluzione e se non lo capiremo con quel sintomo lo capiremo con un altro, magari più forte, grave e intenso. 

Quindi queste sono le domande importanti:
“Che cosa mi impedisce di fare il sintomo?”
“A che cosa mi costringe il sintomo ?”

Entrambe portano a comprendere il messaggio del sintomo. 

DOTT.SSA CHIARA PICA

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