Regina del Sole, Regina della Luna
Regina dei corni, Regina dei fuochi
Portaci il Figlio della Promessa.
È la Grande Madre che Lo crea
È il Signore della Vita che è nato di nuovo!
L’oscurità e la tristezza vengono messe da parte
quando il Sole si leva di nuovo!
Sole dorato, delle colline e dei campi,
illumina la Terra, illumina i cieli,
illumina le acque, accendi i fuochi!!!
Questo è il compleanno del Sole,
io che son morto, oggi son di nuovo vivo.
Il Sole bambino, il Re nato in inverno!
(canto tradizionale tratto da “La danza a spirale” di Starhawk)
Il solstizio d’inverno è uno dei momenti di passaggio dell’anno, così come lo sono Halloween (Samhain), S.Lucia, Natale, Capodanno: è un momento in cui tutto sembra fermarsi, la natura, il tempo. Fino a questo momento le ore di sole sono via via diminuite per lasciar spazio al buio della notte, ora si cede il posto via via alla luce che, lentamente, inizia a prevalere sulle brume invernali. Come tutti i momenti di passaggio, è un periodo carico di valenze simboliche e magiche, dominato da miti e simboli provenienti da un passato lontanissimo. La parola latina solstitium deriva da Sol e dal verbo sistere e significa “arrestarsi del Sole”: l’astro infatti arresta la sua discesa sull’equatore celeste e inizia a risalire verso nord, dove nuovamente si fermerà il 21 giugno 2014 alle 12:51 PM per il Solstizio estivo, entrando nel segno del Cancro. Ecco quindi che il solstizio d’inverno era considerato come l’inizio del nuovo anno, il germe della rinascita. Lo scopo di questo scritto è di andare a fondo di questo tempo, così come ho fatto per Halloween-Samhain. Questo perché il nostro attuale modo di vivere ci ha allontanato da quelle che sono le comuni radici dell’umanità, radici che ci accomunano e che alimentano gli archetipi dell’inconscio collettivo. Per quanto vogliamo ribellarci a questi riti e a queste usanze, credendo che siano inutili stupidità antiquate, di fatto non ci rendiamo conto che così facendo ci allontaniamo soltanto da noi stessi, perché queste tradizioni fanno parte di noi e rigettarle otterrà solo l’effetto di farci vivere in modo più superficiale e staccato dal nostro sé archetipico. “Non dimentichiamo, infatti, che quell’avvenimento iniziò a essere celebrato dai nostri antenati, ad esempio presso le costruzioni megalitiche di Stonehenge, in Gran Bretagna, di Newgrange, Knowth e Dowth, in Irlanda o attorno alle incisioni rupestri di Bohuslan, in Iran, e della Val Camonica, in Italia, già in epoca preistorica e protostorica. Esso, inoltre, ispirò il “frammento 66” dell’opera di Eraclito di Efeso (560/480 a.C) e fu allegoricamente cantato da Omero (Odissea 133, 137) e da Virgilio (VI° libro dell’Eneide). Quello stesso fenomeno, fu invariabilmente atteso e magnificato dall’insieme delle popolazioni indoeuropee: i Gallo-Celti lo denominarono “Alban Arthuan” (“rinascita del dio Sole”); i Germani, “Yulè” (la “ruota dell’anno”); gli Scandinavi “Jul” (“ruota solare”); i Finnici “July” (“tempesta di neve”); i Lapponi “Juvla”; i Russi “Karatciun” (il “giorno più corto”)”.
Pochi sanno, infatti, che, intorno alla data del 25 Dicembre, quasi tutti i popoli hanno sempre celebrato la nascita dei loro esseri divini o soprannaturali: in Egitto si festeggiava la nascita del dio Horo e il padre, Osiride, si credeva fosse nato nello stesso periodo; nel Messico pre-colombiano nasceva il dio Quetzalcoath e l’azteco Huitzilopochtli; Bacab nello Yucatan; il dio Bacco in Grecia, nonché Ercole e Adone o Adonis; il dio Freyr, figlio di Odino e di Freya, era festeggiato dalle genti del Nord; Zaratustra in Azerbaigian; Buddha, in Oriente; Krishna, in India; Scing-Shin in Cina; in Persia, si celebrava il dio guerriero Mithra, detto il Salvatore e a Babilonia vedeva la luce il dio Tammuz, “Unico Figlio” della dea Istar, rappresentata col figlio divino fra le braccia e con, intorno al capo, un’aureola di dodici stelle.
Nel giorno del Natale il Sole, che, nel suo moto annuo lungo l’eclittica – il cerchio massimo sulla sfera celeste che corrisponde al percorso apparente del Sole durante l’anno -, viene a trovarsi alla sua minima declinazione nel punto più meridionale dell’orizzonte Est della Terra, che culmina a mezzogiorno alla sua altezza minima (a quell’ora, cioè, è allo Zenit del tropico del Capricorno) e manifesta la sua durata minima di luce (all’incirca, 8 ore e 50/55 minuti)” ; raggiunto il punto più meridionale della sua orbita e facendo registrare il giorno più corto dell’anno, riprende, da questo momento, il suo cammino ascendente. Nella Romanità, in una data compresa tra il 21 e il 25 dicembre, si celebrava solennemente la rinascita del Sole, il Dies Natalis Solis Invicti, il giorno del Natale del Sole Invitto, dopo l’introduzione, sotto l’Imperatore Aureliano, del culto del dio indo-iraniano Mithra nelle tradizioni religiose romane e l’edificazione del suo tempio nel campus Agrippae, l’attuale piazza San Silvestro a Roma, che era praticamente incluso all’interno di un più vasto ciclo di festività che i Romani chiamavano Saturnalia, festività dedicate a Saturno, Re dell’Età dell’Oro, che, a partire dal 217 a.C. e dopo le successive riforme introdotte da Cesare e da Caligola, si prolungavano dal 17 al 25 Dicembre e finivano con le Larentalia o festa dei Lari, le divinità tutelari incaricate di proteggere i raccolti, le strade, le città, la famiglia.
Non a caso il cristianesimo ha voluto fissare la data della nascita di Cristo in prossimità della festa della luce, del sole. La festa della luce era già presente in moltissimi paesi del mondo: dalla Siberia alle Isole Britanniche, passando per l’Europa Centrale e il Mediterraneo, era tutto un fiorire di riti e cosmogonie che celebravano le nozze fatali della notte più lunga col giorno più breve. I festeggiamenti erano duplici: uno era la morte del Vecchio Sole e la nascita del Sole Bambino, l’altra era il tema vegetale che narrava la sconfitta del Dio Agrifoglio, Re dell’Anno Calante, a opera del Dio Quercia, Re dell’Anno Crescente.
Le genti del mondo antico, che si consideravano un tutt’uno col grande respiro della natura, ritenevano che ogni loro azione, anche la più piccola, potesse influenzare i grandi cicli del cosmo. Così si celebravano riti per assicurare la rigenerazione del sole e si accendevano falò per sostenerne la forza. Presso i celti era in uso un rito in cui le donne attendevano, immerse nell’oscurità, l’arrivo della luce-candela portata dagli uomini con cui veniva acceso il fuoco, per poi festeggiare tutti insieme la luce intorno al fuoco. Il Vecchio Sole, muore e si trasforma nel Sole Bambino che rinasce dall’utero della Dea: all’alba la Grande Madre Terra dá alla luce il Sole Dio.
La pianta simbolo del solstizio invernale è il vischio, simbolo di rigenerazione e immortalità, pianta che i celti consideravano magica perché, pur senza radici, riusciva a vivere su un’altra specie; per i Celti il vischio era “colui che guarisce tutto; il simbolo della vita che trionfa sul torpore invernale. queste usanze, chiamate anche druidiche (i sacerdoti dei Celti erano infatti i Druidi), continuarono (specie in Francia) anche dopo la cristianizzazione. La natura del vischio, la sua nascita dal cielo e il suo legame con i solstizi non potevano infatti non ispirare ai cristiani il simbolo del Cristo, luce del mondo, nato in modo misterioso. “Come il vischio è ospite di un albero, così il Cristo – scrive Alfredo Catabiani nel suo “Florario” – è ospite dell’umanità, un albero che non lo generò nello stesso modo con cui genera gli uomini”.
Altra pianta simbolo è l’abete: nel calendario celtico l’abete era consacrato al giorno della nascita del Fanciullo divino, ovvero il giorno supplementare che seguiva il solstizio d’inverno. Il legame tra l’abete e il solstizio è documentato anche nei paesi scandinavi e germanici, nei quali, nel medioevo, poco prima delle feste solstiziali, ci si recava nel bosco a tagliare un abete che, portato a casa, si decorava con ghirlande, uova dipinte e dolciumi. Intorno all’albero si trascorreva poi la notte allegramente. Fu scelto l’abete perché è un albero sempre verde, che porta speranza nell’animo degli uomini visto che non muore mai, neppure nel periodo più freddo e difficile dell’anno. Era anche usanza bruciarlo nella stufa, in un rito di magia simpatica (secondo cui il simile attira il simile), in modo che con il fuoco si propiziasse il ritorno del sole. In alcune popolazioni europee, con il fuoco dell’abete, si bruciava simbolicamente le negatività del passato, e le streghe leggevano nel fuoco i presagi per il futuro. La tradizione dell’albero prese piede in Italia nel 1800, quando la regina Margherita, moglie di Umberto I, ne fece allestire uno in un salone del Quirinale, dove la famiglia reale abitava. La novità piacque moltissimo e l’usanza si diffuse tra le famiglie italiane in breve tempo. Quindi con la diffusione del cristianesimo l’abete iniziò ad assumere, nei paesi latini, le sembianze che oggi conosciamo, con addobbi e luci: l’albero di natale è dunque il Cristo-Albero della vita analogo al Cristo-Sole, nel quale i lumi accesi simboleggiano la luce che il Cristo dispensa all’umanità
La natura in questo tempo si riposa per prepararsi a vivere un nuovo ciclo e anche per noi sarebbe fisicamente opportuna una pausa, approfittando magari delle vacanze natalizie per dedicarci alla lettura, alla meditazione, a esercizi di rilassamento. In realtà i ritmi frenetici delle tante festività di cui è costellato questo periodo allontanano dal reale senso, cristiano o pagano che sia, che questo tempo porta con sé, tale per cui invece di essere un periodo in cui si entra dentro di sé diventa un ulteriore periodo di ansia e stress. Tuttavia, se ricordiamo che questo tempo è quello in cui siamo più lontani dal sole e contemporaneamente anche consapevoli della sua rinascita, possiamo provare a trattenere questa piccola luce in noi. A livello spirituale, il momento simbolico (che segna nella Ruota dell’Anno l’inizio della risalita dagli Inferi, facendosi archetipo di tutte le risalite verso la Luce degli altri molti cicli che attraversiamo: notte-giorno, ciclo mestruale, ciclo lunare, inverno-primavera…), è carico di significati profondi, ovvero il rinascere della Luce genera una promessa di crescita che si realizzerà in ambito personale e interiore. Sappiamo che, dopo la festa di Samhain, gli dei si sono ritirati nel silenzio del mondo ctonio. Nella notte di Yule il vecchio dio si allontanerà cedendo il suo posto al Sole Bambino che verrà partorito nel grembo oscuro e notturno della dea. Come non notare, ovviamente, il paragone col parto in una grotta fredda e buia del Cristo da Maria? A livello personale il concetto di Rinascita della Luce ci chiede di compiere un salto di qualità, un passo di avanzamento nel percorso spirituale, un percorso introspettivo verso le recondite profondità fino a toccare la nostra parte Ombra che, illuminata dal lavoro di riflessione, potrà dar vita alla nuova Luce di un’anima rinnovata. Questo implica che siamo pienamente capaci, se vogliamo davvero, di dare luce a noi stessi, dare compiutezza al disegno di noi stessi, riconoscendo che anche il percorso più buio dà luogo alla trasformazione e che, anzi, non può esistere luce se prima non si attraversa l’oscurità di un dantesco viaggio dentro noi stessi che ci aiuti a distaccarci da ciò che di noi è vecchio e inutile e non ci occorre più.
Il Solstizio può essere per noi un momento molto calmo e importante, in cui nella silenziosa e oscura profondità del nostro essere, noi contattiamo la scintilla del nuovo sole. Questa è anche una opportunità per gioire e abbandonarci a sentimenti di ottimismo e di speranza: come il sole risorge, anche noi possiamo uscire dalle tenebre invernali rigenerati. In generale l’inverno dovrebbe essere un periodo d’introspezione: come la natura è in letargo, coperta da coltri innevate a riposar, così dovremmo favorire in noi l’introspezione e la riflessione entrando dentro di noi. Nel silenzio di questa stagione in cui tutto sembra immobile, si prepara e nasce l’inizio di ogni cosa. Come dice Sting “L’inverno è il periodo dell’anno che favorisce maggiormente l’immaginazione: ci si siede davanti al camino, si riflette sul passato, su quello che è stato l’anno appena trascorso, ci si prepara a quello che verrà. È una stagione psicologica, oltre che temporale”. Questo quindi è il periodo giusto per fermarsi, riflettere, anche sognare, e infine pianificare i cambiamenti: fino al solstizio d’estate sarà tempo di progettare e costruire, dal solstizio d’estate al nuovo solstizio invernale sarà tempo di raccogliere e tesaurizzare. Saper armonizzare le proprie attività con i cicli universali è naturalmente vantaggioso quanto regolare il nutrimento e il vestiario secondo le stagioni: e questo perché noi siamo intimamente legati alla natura e per il nostro benessere psico-fisico è bene riconoscere e nutrire questo legame, cercando di risintonizzarci con esso. Questo è il momento in cui, quando la notte diviene padrona e il buio totale, è necessario mantenere accesa la fiamma della Fede, che al mattino, con l’alba, diverrà trionfante.
Come ci suggerisce Jung nella sua lettura archetipica dei tarocchi, la carta del solstizio è l’appeso, la carta numero 12: questa carta indica infatti attesa, rinnovamento, conversione, iniziazione. Un uomo si è sottoposto volontariamente a un processo d’iniziazione da cui emergerà trasformato. Attraverso il sacrificio di sé e il dolore emergerà un nuovo individuo. In questo momento il suo corpo è immobilizzato, e deve accettare tutto ciò che l’universo gli porta: freddo, pioggia, sofferenza. Attraverso l’accettazione egli giungerà a un rinnovamento totale del proprio essere. Anche se non può agire all’esterno per il momento, il suo spirito è libero di lavorare all’interno, su di sé, nel profondo della sua anima. Quindi la carte vuole dirci: “Guardati dentro e rinnovati. Capovolgi il tuo modo di vedere le cose. Sii pronto a modificare anche radicalmente le tue idee e convinzioni. Sacrifica qualcosa per ottenere qualcos’altro. Rinuncia a ciò che è superfluo e concentrati sull’essenziale. Non è il tempo di espandere, ma di limitare. Questo non è il momento giusto per agire nel mondo. Devi invece agire al tuo interno, cambiando te stesso. Fuori di te, aspetta. Dentro di te, agisci. Questo non è il periodo propizio per intraprendere un progetto, ma è il periodo giusto per prepararsi a esso. Non cercare di cambiare il mondo. Cambia piuttosto la tua prospettiva sul mondo. Vedi le cose da un altro punto di vista invece di cercare di cambiarle. Pensa in maniera originale e diversa da tutti gli altri. Fai il contrario di quello che hai fatto finora. Chiediti cosa c’è al di là delle apparenze.
Non ha importanza a quale religione o credo si appartenga, ma di fatto bisogna andare ancora più indietro, al senso intrinseco dei ritmi naturali e stagionali a cui siamo archetipicamente legati. Non dimentichiamo infatti che, che ci piaccia o no, siamo esseri rituali, abbiamo bisogno di questo per rientrare in noi stessi. Possiamo anche decidere di non farlo, ma di fatto una festa vissuta solo nel suo senso consumistico crea solo stress e vuoto interiore, mentre se ne entriamo in profondità scopriremo un valore ben diverso. Ci sono tanti modi per celebrare a livello spirituale questa festa: se siamo cristiani possiamo lasciarci guidare dalle meditazioni tipiche del periodo natalizio, se non lo siamo possiamo prendere ispirazione dalle varie usanze celtiche o bretoni che hanno caratterizzato questo tempo, come il rito del ciocco. E ovviamente non si può ignorare il senso psicologico dell’inverno come periodo d’introspezione, meditazione, riflessione profonda: come un seme dorme e riposa sotto coltri innevate così noi dobbiamo riposare dentro noi stessi, allentare i ritmi, vivere un tempo più a misura d’uomo, riflettere e meditare su noi stessi per preparare quel rinnovamento interiore che non solo inaugurerà il nuovo anno, in cui getteremo il vecchio per il nuovo, ma che entrerà a maturazione in primavera e darà i suoi frutti in estate.