La diffidenza nemica delle relazioni

Cos’è la diffidenza? Di fatto è quella sensazione che abbiamo nei confronti di una persona o una situazione, tale per cui nutriamo dei sospetti, dei dubbi, delle perplessità che portano a dubitare di quella persona o di quella situazione, al punto da non fidarci e rimanere sul chi va là. Certamente questa caratteristica ha avuto, ed ha ancora, un valore adattivo, in quanto ha permesso all’uomo primitivo di discernere quali stimoli potevano essere nocivi e quali no. Vista come istinto naturale già presente nell’uomo primitivo, infatti, la diffidenza è quell’opzione che spinge a non fidarsi subito delle situazioni nuove e sconosciute, a non esporsi e a non mettersi in pericolo. Il problema si pone al momento in cui questo diventa un atteggiamento costante del nostro copione di personalità, tale per cui diventiamo sospettosi e guardinghi anche quando non dovremmo, alla ricerca di prove, indizi e segni che possano rassicurarci a sufficienza che possiamo stare tranquilli e quando diventa un atteggiamento che si protrae ben oltre il periodo della prima conoscenza con una persona. Di fatto già questo è un cane che si morde la coda: difatti, se siamo a caccia di segni sospetti, di fatto finiremo, prima o poi, col trovarne qualcuno. È una profezia che si autoavvera, e che si sintetizza in quella famosa frase che a molti piace e che dice “a pensar male si fa peccato ma quasi sempre ci s’azzecca”. Certo si, ma non perché troviamo reali prove sospette: semplicemente perché “leggiamo” con un occhio distorto la realtà attorno a noi.

Come giustificazione di tale atteggiamento il diffidente porta esempi di precedenti delusioni oppure parla di delusioni ricevute da amici e conoscenti, ricordando con dovizia di particolari “cosa succede se…”. Senza considerare minimamente che ogni storia è una storia a sé e generalizzare assurgendo casi particolari a legge generale può andar bene nel metodo scientifico ma non certo nel mondo delle relazioni umane, dove la fiducia è il primo ingrediente immancabile per far funzionare una relazione. Ad esempio nella relazione di coppia è colui che finisce sempre per non essere mai convinto della buona fede del partner ed è sempre alla ricerca, passiva o attiva, di prove, segni, indizi che possano rassicurarlo che non penderà una fregatura e dietro anche una buona azione si chiederà “chissà cosa c’è sotto”, “chissà che vuole in cambio”, senza riuscire minimamente a vedere l’aspetto affettivo e disinteressato di quel gesto. Senza considerare minimamente che, a meno che si diventi dei provetti Sherlock Holmes, nessuno ci darà mai la garanzia di non essere fregati, se non altro in futuro: e sul futuro nessun investigatore potrà aiutarci, perché com’è il futuro nessuno può saperlo. Ciò implica quindi la naturale conseguenza che, se si vuole davvero vivere bene una relazione, bisogna accettare l’insito rischio che risiede nelle relazioni stesse, perché nessuno ci darà mai garanzie di nulla.

Quello che invece nessuno dice mai sulla diffidenza è che, chi la mette in atto, in genere si sta servendo di quel meccanismo che in psicologia si definisce “proiezione”: ovvero ributta addosso ad altri caratteristiche che appartengono a sé stesso. In genere il proverbio dice che “corpo mal usato quel che fa gli vien pensato”. E qui siamo di fronte alla stessa cosa, ovvero, il diffidente in genere, è stato per primo, in passato, autore di azioni scorrette nei confronti del prossimo. Oppure è altamente probabile che sia cresciuto in un ambiente familiare in cui ci sia stato un clima di oppressione e manipolazione tale per cui si tendeva a ottenere le cose raggirando il prossimo piuttosto che convincendolo della bontà della propria intenzione.

Un altro lato che solitamente non si tiene conto del diffidente è quello della sua estrema vulnerabilità: spesso capita che il diffidente si mostri uno spaccone sicuro di sé e del fatto suo, che magari si sente anche furbo e capace di non farsi fregare. Ma perché, se si sente così sicuro di sé, ha così tanto bisogno di tenere tutto sotto controllo? Di fatto, anche se non sembra, è un paradosso, perché se si è davvero sicuri di sé si sa benissimo difendersi dalle situazioni rischiose usando una normale dose di attenzione e saggezza. Qualunque eccesso in tal senso è dovuto solo alle caratteristiche di cui il diffidente non è consapevole: ovvero della sua profonda insicurezza. Tale inconsapevolezza lo porta a vedere negli altri la sua stessa fragilità, e a pensare che essi vogliano raggirarlo pur di ottenere i propri scopi. Il fatto di credersi attaccato dal mondo lo fa sentire in qualche modo protagonista, in una affannosa ricerca d’amore e d’identità.

Le frasi tipiche del supersospettoso sono, ad esempio:

-“Secondo me mi stanno ingannando”

-“Dov’è la fregatura?”

-“Cosa c’è sotto?”

-“Come volevasi dimostrare”

-“Tu fai così per ottenere qualcos’altro”

-“Non mi espongo mai sennò… mi fregano”

-“Qui rischio di perdere capre e cavoli”

Qualunque sia la causa della diffidenza esasperata, il risultato è sempre negativo: per tenersi lontani dai pericoli si evitano anche tantissime situazioni che potrebbero essere piacevoli o vantaggiose; quegli stessi pericoli potrebbero del resto quasi sempre essere visti e prevenuti anche con un normale atteggiamento di sana cautela o di semplice attenzione. Questa diffidenza tout court impedisce dunque di ricevere, ci conoscere, di farsi conoscere, di farsi curare, di evolvere. Perciò è necessario cambiare qualcosa. E la prima cosa è comprendere che diffidare non implica tirarsi indietro, ma semplicemente aver bisogno di conoscere più a fondo la realtà che si deve o che si vuole incontrare. Perché se non si conosce, non si è liberi di scegliere e si resta ingabbiati.

Quello che il diffidente non comprende è che questo atteggiamento gli impedisce una reale conoscenza della realtà che si trova di fronte. Se si è chiusi al rischio della delusione si sarà anche meno ricettivi verso quei segni positivi che la persona ci manda, perché li faremo sempre passare attraverso un filtro razionale e logico senza goderceli realmente. L’apertura al rischio è ingrediente fondamentale di tutte le relazioni, in primis di quelle sentimentali, laddove la razionalità non è che debba sparire, perché di fatto l’amore è molto più razionale di quel che si crede, ma deve sicuramente essere allentata e tenuta in un giusto mezzo per poter permettersi di godere appieno ciò che ci dà l’altra persona.

È bene quindi che la persona diffidente prenda innanzitutto coscienza della sua vulnerabilità, della sua insicurezza e di eventuali azioni scorrette messe in atto verso altri nel suo passato. Questo è necessario per alleggerirsi la vita, per perdonarsi dei propri eventuali sbagli e per prendere l’esistenza con maggior leggerezza (che non è sinonimo di superficialità!), divenendo anche capaci di correre dei rischi, il primo di tutti quello di godersi le relazioni umane senza vedere in esse solo minacce e difficoltà, ma il lato bello e arricchente che esse possono avere.

DOTT.SSA CHIARA PICA

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