Quando non sappiamo chi siamo, sono i nostri problemi a darci una identità. Per questo ci affezioniamo ai nostri problemi, e ci prendiamo cura di loro senza prenderci cura di noi.
Avere dei problemi porta una serie di vantaggi collaterali, il più grande di tutti è quello di fornire alla tua mente delle buone ragioni per non prendere in mano la tua vita.
Me se trovi il coraggio di fermarti per un certo tempo, immobile, in silenzio, allora qualcosa succede, ti rendi conto che il tuo centro non sono affatto i tuoi problemi. E questi, lentamente iniziano a svanire o a risolversi.
C’è un aspetto importante che spesso sfugge quando si vuole risolvere i propri problemi: la nostra volontà magari vuole farlo, la nostra parte cosciente…ma che dire del nostro subconscio? Per i profani, il subconscio è quella parte molto estesa dell’iceberg della nostra mente che sta subito sotto il livello del mare e che ad una certa profondità si trasforma in subconscio. A gestire la vostra vita credete di essere davvero voi con la vostra volontà cosciente o è il subconscio con i suoi innumerevoli meccanismi di autosabotaggio? La risposta giusta è ovviamente la seconda. Se anche voi volete risolvere un problema con tutte le vostre forza ma il vostro subconscio per qualche ragione non è d’accordo è un gran problema perché boicotterà i vostri tentativi di risolverlo. Perché questo? Molte persone parlano così spesso e vedono talmente il proprio problema come parte di sé che … finiscono per identificarsi con esso. Non è un caso che molti dicano “io sono ansioso”, “io sono depresso” ecc quando parlano di sé. Ciò è ovviamente molto deleterio perché se io mi vedo con gli occhi del mio problema guarderò alla realtà intorno a me solo nella prospettiva che quel problema mi permetterà di vedere. E quindi? Quindi non coglierò tutte le eccezioni rispetto a quel problema: ad esempio se mi definisco ansioso non vedrò quando non lo sono, quali mdi di essere ho quando l’ansia non è con me e quali risorse mi permettono di non esserlo o far fronte alle crisi. Una domanda che spesso faccio alle persone molto identificate con il loro problema è “Cosa sei e cosa resta di te quando non c’è il problema?”. E alcuni non hanno idea di come rispondere proprio perché hanno saldamente legato la loro identità a quel problema al punto che non riescono più a vedere altre prospettive. Oppure chiedo di fare un esercizio immaginativo: “immagina la vita senza quel problema, ovvero quando lo avrai risolto.
Cosa ti farà capire che lo avrai risolto? Cosa farai? Come ti comporterai? Come gli altri si accorgeranno del tuo cambiamento? La maggior parte delle persone non si sa vedere senza quel problema e invece riuscirci è fondamentale per superarlo. Come credete di poter uscire da un problema se non siete neanche capaci di vedere cosa ci sarà quando quel problema non sarà più presente? Lo dice bene Eckhart Tolle quando ne “Il potere di adesso” scrive «(…) Alcune persone si arrabbiano quando mi sentono dire che i problemi sono solo illusioni. Minaccio di privarle del loro senso d’identità. Hanno investito così tanto tempo in quella falsa idea di sé! Da molti anni, definiscono inconsciamente la loro intera identità in termini di problemi e dolore. Chi sarebbero, senza i loro problemi e i loro dolori? L’ego è sempre alla ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi per mantenere e rafforzare il suo senso illusorio di sé, e si attaccherà prontamente ai tuoi problemi.
Ecco perché, per così tante persone, gran parte del loro senso d’identità è intimamente legato ai problemi che hanno. Quando è così, l’ultima cosa che vogliono è liberarsene, perché significherebbe perdere se stesse.»
Insomma, dobbiamo trovare altrove la nostra identità. Il problema non siamo noi, anche se da noi deriva. Nel senso che è un’occasione che la nostra anima ci manda per attivare risorse e lati impensati di noi. La differenza sta nel fatto che se ci identifichiamo col nostro problema non potremo vedere altro che quello, se invece comprendiamo perché quel problema si è presentato potremo vederlo come l’occasione per far emergere qualche aspetto dormiente e sopito dentro di noi. Quello che deve cambiare è dunque lo sguardo interiore dal quale osservo il problema: e soprattutto un problema darà esiti diversi a seconda di come lo identifico e di come lo definisco: se lo definisco ostacolo, difficoltà, dramma sarà ben diverso che se lo chiamo occasione, opportunità e sfida. Il destino ce lo creiamo da soli con le nostre parole, azioni, atteggiamenti e definizioni di sé.