In questo articolo intendo affrontare il significato profondo e simbolico della festa pasquale, come spesso faccio per le celebrazioni della cosiddetta “ruota dell’anno”, ovvero il ciclo naturale delle stagioni, commemorato con la celebrazione di otto “sabbat” ovvero festività. Secondo il neopaganesimo, tutte le cose della natura sono cicliche, compreso lo scorrere del tempo che viene immaginato come una ruota che gira incessantemente; lo scorrere delle stagioni si riflette nella nostra vita: nascita, crescita, declino e morte. Molte di queste Sabbat sono state poi cristianizzate nella lotta contro il paganesimo. La pasqua è il risultato di una di queste cristianizzazioni.
Nelle vecchie leggende, Inanna è conosciuta come colei che affronta un viaggio nelle tenebre degli inferi per trovare la luce. La luce che diventa simbolo di verità e di rinascita. Come Perfesefone anche lei sacrifica qualcosa per intraprendere un percorso. Tutti Noi dovremmo sacrificare qualcosa per trascendere, per rinascere, per evolverci.
Ma andiamo per gradi. Come dicevo è fondamentale entrare dentro il senso profondo e simbolico della nostra vita e mai momento migliore è offerto da queste ricorrenze della ruota dell’anno, in quanto momenti fortemente simbolici. Ma perché, qualcuno potrebbe chiedersi, una psicologa si occupa di ricorrenze pagane, riti, tradizioni? In un saggio del 1931, intitolato “Problema fondamentale della psicologia contemporanea”, lo psicanalista Carl Gustav Jung insiste sulla necessità di superare l’errata visione di psicologia che stava prendendo piede nell’800, ovvero una “psicologia senz’anima”, che considera la “realtà psichica come una specie di secrezione ghiandolare”, in quanto si stava tentando (sull’onda del Positivismo) di “cosificare” la mente. Jung invita dunque a recuperare la più antica concezione di una “psicologia con anima”: “Dobbiamo quindi rifarci, di buon grado o no, alla dottrina dell’anima dei nostri progenitori, dato che furono appunto loro a formulare ipotesi consimili. La concezione antica era che l’anima fosse essenzialmente la vita del corpo, il soffio vitale, una sorta di energia vitale immessa nel mondo fisico, ossia nella spazialità, durante la gravidanza o all’atto della nascita o della concezione, e destinata ad abbandonare il corpo con l’ultimo respiro”.
James Hillman, discepolo di Jung, considera la vita come un’esperienza per FARE ANIMA. E quali occasioni migliori di partenza, per “fare anima”, che non le ricorrenze simboliche della ruota dell’anno? Scrive Jung “L’uomo ha assolutamente bisogno di idee e convinzioni generali che diano un significato alla sua vita e che gli permettono di individuare il suo posto nell’universo. Quando è convinto che esse abbiano un senso, egli trova la forza di affrontare le più terribili avversità, viceversa egli si sente sopraffatto quando, nel colmo della sventura si trova costretto ad ammettere di essere coinvolto in una vicenda senza senso”
Ecco perché, queste ricorrenze, ci invitano, così ora, come un tempo, a stabilire un ponte tra la finitezza del nostro vivere quotidiano, e quel qualcosa di più grande di cui facciamo parte e che ci caratterizza nella sostanza. Non perché gli altri periodi dell’anno non seguano le stesse leggi: ciclo luce-buio, notte-giorno, cicli mestruali nella donna ecc, ma queste ricorrenze incarnano fortemente un significato simbolico che in altri momenti dell’anno può apparire più sfumato in chi non è abituato ad un rapporto profondo con sé stesso. I nostri antenati avevano ben capito quanto fosse importante sintonizzare i propri cicli interiori con quelli della Natura, con Madre Terra, con il Cosmo, e di quale armonico potenziale questa sintonia fosse capace.
E allora, da dove giunge questa Pasqua? La Pasqua cristiana deriva in realtà dalla celebrazione più antica celtica della dea Eostre: infatti i popoli Celti denominavano l’equinozio di primavera “Eostur-Monath” e successivamente “Ostara”. Consideriamo innanzitutto la Pasqua, come un fenomeno simbolico e non come un evento storico, religioso o festivo. Prima di tutto ricordiamo che si tratta di un evento legato ai cicli della Luna; dunque una data sacra antica, che ci riporta indietro fino ai tempi della Dea Madre, quando una spiritualità rivolta al femminile ancora non era stata soppiantata dai culti solari, dal Dio Padre maschile. Tutti i miti che celebrano la Pasqua ci raccontano storie di Resurrezione: la rinascita che segue ad un’apparente morte. Questo rappresenta un modo per spiegare simbolicamente quello che avviene in primavera, perché ciò che è fuori di noi riflette ciò che abbiamo dentro: il risveglio della natura e della luce dopo il freddo e il buio del’inverno. E così come la natura si risveglia dal letargo invernale, con la Primavera siamo risvegliati ad una nuova nascita: nuovi intenti e propositi si affacciano al nostro animo, sostenuti da nuove energie.
Come recita questo brano del Cantico dei Cantici:
“Vieni, è Primavera; sugli alberi fioriscono le gemme, la linfa risale al cielo, torna a cantare l’usignolo. Il nostro diletto parla, alzati amata mia, bella mia vieni, poiché l’inverno è passato, la pioggia è cessata, se ne è andata, ritornano i fiori sulla terra, il tempo del Canto è venuto”
Ecco, quindi, che possiamo ben comprendere il perché la resurrezione del Cristo sia stata collocata nel periodo primaverile, andando a soppiantare una festa ben più antica, ma comunque legata alla rinascita. Vediamo meglio in che senso. Sappiamo bene che Gesù è morto per poi risorgere al terzo giorno. Così la natura “muore”, riposa in inverno, per poi risorgere, rifiorire in primavera. Ecco quindi un concetto fondamentale: per poter rinascere, la natura deve prima morire. In che senso? Il seme, caduto in autunno, a metà di quella stessa stagione muore (in corrispondenza dei giorni di Samain, ovvero Halloween, per intenderci), abbandonandosi al suolo, al mondo sotterraneo, buio, silenzioso: ovvero il mondo dei morti. Nell’inverno avviene questa morte apparente, una sorta di ibernazione, ovvero una gestazione nel ventre della madre terra. Tutto ciò che deve nascere deve formarsi nel buio, nel silenzio, ovvero nella “morte”. Attenzione qui: verso la metà della stagione invernale, al seme viene posta una scelta: svilupparsi, germinare, rinascere, quindi assecondare l’insita spinta vitale, oppure rimanere nel ventre della terra per paura di affrontare la vita del “mondo di sopra”…..non vi pare simile a quello che la maggior parte di noi fa? Ovvero rimanere “morti dentro”per paura di affrontare la vita? che è, sempre, paura di affrontare l’ignoto, lo sconosciuto, l’imprevedibile che necessariamente è la vita. ecco perché molti oggi sono ipocondriaci: la paura di morire che spesso prende la forma di ossessioni ipocondriache è in realtà paura di vivere: ovvero. È un messaggio che viene dalle nostre recondite profondità, che ci avverte che noi non stiamo vivendo in modo autentico, in un modo che ci rappresenta davvero. E cosa succede quanto non viviamo appieno la nostra vita con la consapevolezza che siamo esseri soggetti alla morte? Finiamo per vedere la fine come una condanna senza appello, sentiamo che potremmo avere poco tempo per realizzare noi stessi. Ecco dunque che il terrore della morte e l’ipocondria vengono a dirci che dobbiamo vivere, ADESSO, ovvero nell’unico vero tempo che abbiamo a disposizione. E che, dunque, la paura di correre il rischio di vivere deve diventare ben inferiore della paura di morire, perché se viviamo appieno ogni giorno non temeremo più la morte: sapremo, in ogni caso, di aver vissuto. L’inverno è un periodo di gestazione il cui parto in primavera dà vita ad un nuovo essere vivente, ad una “attualizzazione” di quella “potenza creativa” che allo stadio germinativo è stata posta nel seme della nostra esistenza. La nostra scelta è se seguire l’impulso vitalizzante di questa rinascita, o accontentarsi di trascinare la nostra vita in un perenne stato germinativo mai realizzato, vivendo come piante parassite sopra gli alberi.
Quindi è questo il messaggio simbolico pasquale: se non moriremo, non potremo rinascere. Ma in che senso? Si tratta di un processo di metamorfosi che affronta il bruco prima di trasformarsi in farfalla, il seme prima di diventare germoglio, l’uovo prima di diventare un pulcino. Qui entra in gioco il simbolo dell’uovo: nell’iconografia cristiana, l’uovo è il simbolo della Resurrezione, il suo guscio rappresenta la tomba dalla quale esce un essere vivente. Secondo il paganesimo, invece, l’uovo è simbolo di fertilità:dell’eterno ritorno della vita. L’uovo era visto come simbolo di fertilità e quasi magia, a causa dell’allora inspiegabile nascita di un essere vivente da un oggetto così particolare. Dipingere e decorare le uova durante il periodo pasquale risale a quest’ultimo periodo: donarne uno colorato era sinonimo di auguri e buoni auspici e i colori con cui veniva dipinto rievocava la rinascita della natura in primavera. Quindi: così come il pulcino, per nascere, deve distruggere il guscio che lo teneva ingabbiato, così noi per rinascere dovremmo rompere il nostro. E il nostro guscio da cosa è formato? Da tantissime cose, tantissime zavorre: abitudini, situazioni, condizionamenti familiari, sociali, relazionali, schemi, copioni appresi che ci stanno addosso proprio come un guscio che diventa quasi una seconda pelle, un’armatura ingessante che non permette alle energie interiori di espandersi, di fluire. Quindi l’uovo é il simbolo del processo di trasformazione e preannuncia la nascita di qualche cosa di nuovo, su un piano più alto, superiore, nel nostro caso anche spirituale. E noi quanto vogliamo ancora sguazzare dentro il nostro guscio protettivo, impedendoci di vivere, di nascere, di diventare ciò che siamo stati generati per essere, di dare attuazione al programma nascosto in quel seme, di realizzare la nostra natura, divenendo così i veri sabotatori di noi stessi? Siamo noi, con le nostre mani, che ci impediamo di vivere. Smettiamo di dare colpe al destino, agli altri, all’esterno! Solo noi possiamo partorire noi stessi! Come l’uovo, come il bruco, come il seme, anche l’uomo contiene già in sé gli elementi necessari alla sua autorealizzazione, ma deve prima attraversare la morte del vecchio modo di essere se vuole dare forma a quel progetto inscritto in sé stesso. Non esiste altra via!
È questo il profondo messaggio pasquale: non potremo mai vivere finchè non moriremo alla vecchia vita e non permetteremo alla natura di partorirci nelle nostre nuove vesti. Ecco perché la depressione non va vista come l’ennesima malattia da medicalizzare, ma come il “bisogno di morte a sé stessi” che ad un certo punto l’uomo deve affrontare: e per affrontarsi deve nascondersi nel buio e nel silenzio di sé stesso. Scrive a tal proposito Massimo Scaligero nel suo libro “La Luce”: “L’uomo per sperimentare le forze della vita, per ritrovare la vita che durante l’esistenza non percepisce, ma conosce solo nei suoi effetti sensibili, deve sperimentare la morte. Per comprendere che ciò che muore in lui non è lui, ma il supporto del suo essere che muore. Deve attraversare la tenebra, portarsi oltre tutta la tenebra, per conoscere la luce, di cui durante la vita ha soltanto ciò che gli è riflesso dalla tenebra. L’iniziazione procede attraverso serie di momenti di morte, oltre i quali l’iniziato risorge: sono processi di vita che si tolgono come appoggi alla coscienza, perché questa resista al suo precipitare nel nulla, attingendo a incorporee forze di vita: attingendo all’Io che ogni giorno essa è e senza cui non sarebbe” Non si può che tramontare se si vuol vedere l’alba di un giorno nuovo. Non c’è altra via, non ci sono scuse. Come scrive Gabriel Garcia Marquez “Gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui le loro madri li danno alla luce, ma la vita ancora li costringe molte volte a partorirsi da sè.”
La sorpresa nell’uovo che si regala a Pasqua, è il simbolo di quella rinascita che partorisce noi stessi dopo anni di mera “sopravvivenza”, una rinascita in cui ci accorgiamo di quali condizionamenti ci hanno guidato per elevarci dunque verso la nostra dimensione spirituale. E, per far questo, bisogna fare come il seme che sta germinando: distruggere l’involucro che avvolge la piantina, che si svilupperà sia in alto, verso il cielo e dunque la dimensione spirituale, sia in basso, mettendo radici nella terra, nelle proprie parti oscure, ombrose e oscure. Si può risorgere solo quando tutti gli opposti si fondono dentro di sé raggiungendo quella che Jung chiamava “individuazione”: luce e ombra, femminile e maschile, dio e dea, positivo e negativo, pregio e difetto.
L’unica, vera sorpresa nell’uovo pasquale dobbiamo essere noi stessi.
“L’Io individuale è la stalla in cui è venuto al mondo Gesù bambino”(…)”Non siamo altro che la mangiatoia dove è nato il Signore”(Jung, Psicologia e religione”)
DOTT.SSA CHIARA PICA