Dott.ssa Chiara Pica - Mission Life Coach

Dott.ssa Chiara Pica

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Perché gli uomini temono l’impegno della relazione

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Quante volte sarà capitato alle donne di lamentarsi del loro uomo perché non vuole impegnarsi seriamente o perché rimanda costantemente nel tempo la data di una concretizzazione relazionale se non addirittura matrimoniale? E quante volte sarà capitato agli uomini di essere i protagonisti di tali accuse? Cerchiamo quindi di fare chiarezza sulle dinamiche soggiacenti a questo problema.

Innanzitutto ci riferiamo qui ad alcune note situazioni:

Coppie che si frequentano da tempo, ma in cui il lui di turno non si decide a “ufficializzare”

Coppie che stanno insieme da tempo e in cui lui non si decide ad approdare alla convivenza

Coppie che stanno insieme da anni e in cui lei attende speranzosa una proposta di matrimonio che non arriva mai

In questi casi, in genere, le donne iniziano a covare sospetti e dubbi circa l’interesse (se non addirittura la fedeltà) del proprio partner. Sentono mancare la progettualità e la crescita di cui una donna in relazione ha tremendamente bisogno come sicurezza affettiva, come certezza che sta investendo nella persona giusta e così scattano i rancori, la rabbia covata, le accuse, e il clima si fa peso e oppressivo: al punto che il maschio già tendente al procrastinare sarà ancora più tentato a fuggire a gambe levate. Perché, come insegna lo psicosessuologo John Gray, donne e uomini sono profondamente diversi e il comprendere questa santa verità eviterebbe molte inutili rotture relazionali. Difatti, se interrogati sui sentimenti verso la compagna, questi uomini rimanda tari in effetti mostrano il loro amore nei suoi confronti, a riprova che il problema non è nella mancanza di interesse o sentimento, come invece accusano le donne: il problema risiede altrove. In effetti, molti maschi fuggono alla vista delle fedi nuziali come un vampiro di fronte all’aglio ma c’è poco da ridere quando hai superato i trenta anni, stai con lui da quando aveva i brufoli e lui ti dice ancora che non è pronto per sposarsi! Perfino Peter Pan sarebbe pronto ma lui no! Magari ha usato tutti gli alibi possibili e immaginabili per prendere tempo, e ora che l’appartamento che i tuoi tenevano in affitto si è liberato non ha più colpi in canna (e se ne avesse uno, forse, lo userebbe per spararsi). Sono quei tipici rapporti in cui a momento di grande complicità si alternano momento di fuga e fredezza, che in genere corrispondono ai momenti in cui si sentono legare il cappio al collo. E’ evidente che l’idea di ritrovarsi legati ufficialmente ad una donna li terrorizza, così come li terrorizza il complicato intreccio di responsabilità, impegni, sacrifici o rinunce che, di solito, un matrimonio comporta, soprattutto se prevede l’arrivo di un figlio. L’uomo tende così a prendere tempo, a tergiversare, a rimandare più o meno all’infinito. Non è una questione di sentimenti, è più che altro una questione di paure e di equilibri personali che verrebbero meno. L’avversione alle nozze, infatti, va ad intaccare quelle sicurezze individuali che, oggi come oggi, ognuno tende a salvaguardare in ogni modo. Fa paura un impegno tanto gravoso perché non si è sicuri di poter reggere il peso dei doveri rispetto ad un’altra persona e, soprattutto, spaventa moltissimo saper che sarà “per tutta la vita”.La fatidica frase “per tutta la vita” (evoca il suono metallico di una serratura che si chiude: quella della cella!); oltre al dover dire addio all’idea di flirtare, che magari nelle loro intenzioni non vorrebbe neanche concretizzarsi in un tradimento, ma parliamoci chiaro: come spiega esaustivamente John Gray, all’uomo piace sentirsi piacente, anche se poi non tradisce, ma avere gli apprezzamenti di altre donne gonfia a dismisura il loro ego.

Ma perché questo avviene? Cominciamo subito col dire che rispondere con “perché gli uomini sono dei poco di buono” è un’affermazione assurda e priva di senso e non aiuta a comprendere le ragioni reali che stanno dietro a queste reticenze.

Innanzitutto, come base di partenza, si deve tenere presenti le insite differenze costituzionali tra uomo e donna: in primis che la donna tende evolutivamente al legame stretto e unico in quanto allevatrice di prole che necessita per questo un costante sostegno da parte di un partner fisso. E l’uomo invece tende per sua natura a essere cacciatore, nomade e col gusto per la conquista. Queste sostanziali differenze ne portano poi altre nello stile di comunicazione, nel modo di intendere le cose che si dicono, nel modo di vedere la relazione. Ma non mi dilungo qui su questo, rimandandolo ad altro scritto mirato. È bene qui comprendere che ci sono degli individui che, già di base uomini e quindi con le loro tendenze alla “fuga relazionale” hanno anche l’aggravante di avere dei copioni di personalità e delle ferite personali infantili che li rendono oltremodo evitanti o diffidenti rispetto alle relazioni, come nel caso dei narcisisti, degli evitanti, dei diffidenti e degli eterni adolescenti. Questi sono i quattro tipi principali di uomini che hanno reticenza nell’impegno. Vediamo di analizzarli meglio uno ad uno.

I narcisisti: questa è la tipologia di uomo egocentrico od ego centrato, ovvero è lui quello che conta in primis, gli altri vengono dopo. È un uomo brillante, intelligente, il classico genio della conquista, che sa dare il massimo all’inizio della relazione, in cui si mostra romantico, riempie la donna di attenzioni, ma al solo ed unico scopo di conquistarla, perché poi l’innamoramento non si trasforma mai in amore, dato che esso implica la capacità di accettare l’altro per quello che è, cosa di cui i narcisi sono totalmente incapaci. Sono innamorati delle sensazioni che ricevono dalla relazione più che della partner e come tale hanno la tendenza al tradimento, ma anche quando sono fedeli non si concedono mai totalmente alla persona con cui stanno: dentro di sé mantengono un angolino inaccessibile, non dicono mai tutto, sono imperscrutabili e misteriosi e si riservano il diritto di avere una via di fuga quando la relazione dovesse diventare troppo monotona o se capitasse loro un occasione più appetibile. Inoltre pretendono molto dalle partner ma dando poco o nulla in cambio, facendo cadere le briciole dal tavolo e sono incapaci di empatia, e come tale non riescono a comprendere i bisogni della partner bensì vivranno le richieste di lei come una coercizione, un tentativo di manipolazione e cambiamento. La loro infanzia è stata quella di bambini apprezzati per quanto rispondevano a delle aspettative dei genitori, oppure idolatrati e messi sul piedistallo come trofei, ma in ogni caso mai autenticamente amati. Data la ferita del non amore patita nell’infanzia non riescono ad amare e tantomeno a fidarsi di un’altra persona , vivono la relazione seria come una limitazione che toglie l’aria , una perdita dei confini del sé per cadere preda dell’altro, l’apertura relazionale li fa sentire vulnerabili ed esposti all’esser fatti a pezzi. 

Gli evitanti: sono coloro che hanno in genere avuto una madre oppressiva e sono spaventati dalle eccessive vicinanze relazionali. La loro vita è una continua fuga da quella che può rievocare l’idea della madre opprimente e si rifugiano in una “indipendenza difensiva” , leggendo come soffocanti anche le normali richieste di vicinanza emotiva della partner. Non sono affatto in grado di riconoscere in loro il bisogno di fuga dalla “imago materna divorante” e come tale, sotto le continue richieste di una partner che li vede sfuggenti e distaccati, finiscono per scocciarsi o per credere di non essere innamorati: il risultato è comunque la rottura relazionale. La passività e il silenzio sono le loro armi difensive, tendono e tenersi tutto dentro, a non condividere i loro stati interiori, non dialogano della relazione e hanno una spiccata propensione al rifuggire dall’eccessiva intimità e condivisione. Altresì tendono a negare la relazione stessa, a non ufficializzare a livello formale, a non far conoscere la fidanzata alla cerchia degli amici per mantenere a tutti i costi dei suoi spazi dove respirare. La loro ferita profonda è quella dell’oppressione materna, dalla quale sentono ancora la terribile esigenza di fuggire, perché ogni relazione gliela ricorda inevitabilmente.

Gli eterni adolescenti: questi sono i classici uomini con la sindrome di peter pan, gli eterni ragazzini che non vogliono crescere. ll matrimonio li fa sentire vecchi: è un rito di passaggio che segna – senza più alcuna ombra di dubbio – l’avvento dell’età adulta, dei doveri e delle magagne, il dover abbandonare il proprio posto di “presidente nell’industria del Divertimento” per sottostare a una schiera di direttori “nell’industria del Compromesso”, dove verrà vagliata attentamente ogni tua decisione. Sono coloro che preferiscono le “storielle” senza eccessivo coinvolgimento emotivo, senza promesse e progettualità. Hanno la tendenza ad investire massicciamente al di fuori della relazione, dove non manca una nutrita schiera di hobby e interessi che non vogliono saperne di diminuire o tagliare. Si preferisce continuare a vivere nella deresponsabilizzazione adolescenziale piuttosto che assumersi responsabilità adulte di coppia, in una condizione della quale si notano solo rogne e svantaggi piuttosto che gratificazioni. Il grosso rischio è quello di ritrovarsi a 40 anni o peggio a 50 senza aver costruito nulla di concreto a livello affettivo e avendo perduto anche quelle relazioni che avrebbero potuto davvero dare qualcosa di buono. Alle volte dietro a questi peter pan c’è stato un “primo vero amore” che loro innalzano a pietra di paragone di tutti gli altri: probabilmente il classico innamoramento di quando si è poco più che ventenni, quello per cui “avrei lasciato tutto e tutto, avrei fatto pazzie” senza considerare che quello non è un amore, è un innamoramento, ovvero una cosa ben diversa. Fatto è che confrontano costantemente quel che provano per l’attuale fidanzata con quello che hanno provato in passato, finendo per convincersi di non amarla, senza invece considerare che non si può credere di vivere passioni travolgenti come quando si era più giovani, il sapore di un amore maturo non ha nulla a che vedere con gli impeti degli anni precedenti: è inevitabile che il sapore di una relazione adulta è diverso e bisogna capirlo onde non incorrere in equivoci.

I diffidenti: questi sono coloro che sono stati feriti da una precedente relazione o peggio ancora coloro che covano la ferita infantile di una madre evitante, tale per cui vedono in una relazione stretta una possibile nuova fonte di ferite interiori. Sono profondamente incapaci di fidarsi della partner, possono rischiare di divenire gelosi ossessivi, controllanti, causando la fuga e l’esaurimento della ragazza. Si aspettano costantemente l’abbandono e il tradimento. La paura della ferita interna può portarli a due stili reattivi: l’essere eccessivamente controllanti, ossessivi e gelosi, oppure a chiudersi a riccio per il timore di essere feriti. Ovvero la paura di essere delusi, di perdere capre e cavoli, fa sì che non si concedano mai del tutto alla relazione.

Fatta questa panoramica cosa dobbiamo imparare, donne e uomini? Le donne in primis devono imparare a non ossessionare il partner. Non c’è peggio che opprimere un uomo che già si sente oppresso a causa delle sue ferite infantili: l’unica cosa che otterremo da parte loro sarà la fuga a gambe levate. Le tipiche cose che fanno le donne, ovvero chiedere continue spiegazioni, non saper rispettare i silenzi, ossessionare coi timori di abbandono ecc, sono i modi migliori per allontanarlo. Il primo passo, seppur possa apparire pesante, è quello dell’accettazione: ovvero imparare a vedere il proprio uomo per quello che è, come maschio e poi come persona con le sue ferite interiori. Al bando dunque qualunque idealizzazione, dato che spesso le donne si innamorano di un ideale per poi adattarvi il proprio partner come un modellino di pasta di pane, incorrendo quindi, inevitabilmente, in equivoci e delusioni che innalzano la frustrazione e il rancore. Ogni donna deve imparare ad amare non solo le parti carine e coccolose del partner, ma anche i suoi lati ombra, per dirla con Jung, perché in genere una persona la si prende per intero, non solo in parte. Non esiste in questi casi solo l’uomo degli incontri romantici e delle cenette a lume di candela, esiste anche il lato burbero, che sparisce senza spiegare, che flirta con altre ecc. Intendiamoci, non si vuol qui affermare che bisogna giustificare o approvare questi comportamenti: accettare non significa approvare, ma è come quando amiamo un figlio. Lo amiamo in toto, anche nei suoi lati negativi, ma se mettiamo dei limiti con amore e autorevolezza i limiti avranno un altro sapore, se li metteremo con autorità e rabbia non otterranno alcun effetto. Senza accettazione non esisterà alcun miglioramento relazionale, e inoltre questo amore non dev’essere motivato dalla volontà di cambiare un uomo, una delle più grandi illusioni del mondo femminile. Un uomo migliorerà solo quando si sentirà prima di tutto accettato e amato.

Agli uomini invece dico questo: l’uomo che teme l’impegno tende a fuggire dalla relazione , dice “quando mi innamorerò allora sarà fedele, mi assumerò le mie responsabilità ecc”. Ma paradossalmente è proprio il loro atteggiamento fondato sul disimpegno a non permettere all’amore di sbocciare. Com’è possibile innamorarsi se non si è presenti alla relazione, se si pensa solo ai propri interessi, se si frequentano altre donne, se si innalzano barriere e difese? Dalla chiusura non può nascere amore alcuno, solo passioncelle adolescenziali. L’uomo con la paura di impegnarsi deve imparare a fermarsi e investire nella relazioni, anche con piccole aperture alla vulnerabilità, che seppur piccole sono fondamentali per l’amore. E se proprio non riuscite a sbloccarvi potete sempre chiedere il sostegno di un esperto, perché non c’è nulla di male a curare le proprie ferite interiori. Prima di badare a cosa dà la partner a voi, badate a cosa voi date, perché amare è un dono, gratuito e disinteressato. Si dà per dare, non per ricevere qualcosa in cambio. Il dare però è magico, perché porta l’altro a farlo a sua volta e così la relazione può crescere. Magari si lamentano che la partner è pesante, oppressiva, gelosa, ma non si rendono conto che il loro essere scostanti, evasivi ecc non fa altro che favorire il processo.

E infine dico a entrambi che nella vita di coppia esistono delle ben precise fasi relazionali e che ogni membro può viverle in modo molto diverso, un modo che dipende appunto dalla propria storia, dai propri copioni, dalla propria infanzia e passate relazioni e pretendere che ognuno segua una pista predeterminata è assurdo quanto irrazionale. Il rispetto dei tempi di ognuno è cosa fondamentale per il buon funzionamento relazionale. Il tutto condito con una inevitabile importanza della comprensione e del dialogo. Il dialogo sincero e aperto permette all’altro di acquisire quella fiducia nell’altro che le ferite infantili ci hanno tolto, potremo capire che l’altro non è lì pronto a divorarci o a metterci un cappio al collo, ma ad essere il complice della nostra vita: posto però che siamo abbastanza sinceri con noi stessi per capire se davvero siamo disposti a vivere un amore liberante senza mettere catene all’altro. E per questo dobbiamo anche cambiare totalmente l’idea comune che la gente ha dell’amore: l’amore non ingabbia, non toglie respiro, non opprime, non toglie gli interessi dell’altro, bensì libera dal passato e dona respiro positivo al futuro. Nulla a che fare con l travolgenti passioni giovanili per cui “per lui/lei farei di tutto, rinuncerei a tutto, rischierei tutto”, che sono solo l’eco di una fase che dev’essere oramai superata se davvero vogliamo evolverci come persone.

DOTT.SSA CHIARA PICA

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