Sul vivere e sull’amare e sull’imparare a soffrire

Secondo Paolo Crepet, nel suo libro “Sull’amore”, l’amore vero è sperimentato da una minoranza di persone. Molte si fermano all’innamoramento, molte usano la relazione di coppia per tappare dei propri vuoti esistenziali sperando che sia l’altra persona a riempire tali vuoti e liberi così dall’incombenza di farlo da se stessa: tutto questo avviene perché amare veramente non è solo vedere il bello e il meraviglioso della relazione, ma anche il lato doloroso, gli scontri, le discussioni, il guardare in faccia i lati negativi di se stessi in rapporto all’altro e dell’altro in rapporto a noi.

Se ci fermiamo a un’idea di rapporto d’amore come qualcosa che deve sempre andare a vele spiegate, col sole che non tramonta mai e il cielo sempre sgombro di nuvole, mi spiace dirlo ma abbiamo un’idea completamente errata; anche le notti, le nuvole, le tempeste hanno la loro importanza notevole, e il modo in cui ci poniamo di fronte a esse cambia grandemente lo scenario: se le vediamo come un fallimento personale, una disdetta, il segno della sconfitta allora ci infangheremo nell’assurdo, ci immergeremo piano piano nelle sabbie mobili, incapaci di muovere un passo, perché siamo tutti stati infarciti dell’idea distorta che un rapporto d’amore debba ricalcare le storielle fantastiche dell’adolescenza, la famigliola felice del mulino bianco, i canti festosi di Casa Barilla e le coppie che scoppiano di felicità col sorrisone da visita dentistica nelle varie pubblicità e nei vari film e telefilm…niente di più falso e distorto: l’amore è anche dolore, ha anche il suo carico di sofferenze, e se ci poniamo di fronte a esse come un limite da superare, come un segno che dobbiamo rivedere noi stessi, come un qualcosa che stimoli il nostro cuore e la nostra riflessione, allora faremo del dolore un alleato per crescere…per questo oggi la gente non ama, perché alla prima difficoltà molla le cime, lascia andare la barca alla deriva, si fracassa contro gli scogli pur di non sforzarsi di guidare le vele della sua vita, sfidando anche le tempeste più difficili…si vuole la vita facile oggi, e tutto ciò che è difficoltà e dolore viene scansato come il demonio…non esiste amore senza dolore, una coppia che non impara a soffrire è una favoletta per bambini…perché sin da bambini non si viene vaccinati alla sofferenza, i genitori non sanno più dare ai figli quei piccoli dolori che possono davvero insegnare la tolleranza alla frustrazione: si concede tutto, senza riserve, senza condizioni, credendo che così si fa la felicità dei figli…l’errore più tremendo, perché poi di fronte all’inevitabile sopraggiungere delle difficoltà della vita si cade nell’angoscia e nello sconforto. Sono giovani senza ossa quei bambini viziati di ieri, quelli che adesso non accettano sconfitte, cadono in crisi per il minimo fallimento, vedono la caduta come una sconfitta e non come uno sprone e fare di meglio, piombano in crisi per un nonnulla e finiscono in depressione per un brutto voto a scuola o per la delusione amorosa al liceo, mettendo in discussione un’autostima che non è stata mai insegnata.

I genitori non insegnano la vita, non insegnano che insieme alle gioie ci sono anche i dolori: l’unico modo che usano per dare dolori è dare quelli troppo grossi per la loro età, le discussioni violente in famiglia, l’insulto e la violenza, sia psicologica che alle volte anche fisica, il misero sfogo emotivo di fronte alla pesante giornata lavorativa, la rabbia repressa che poi esplode come un vulcano in eruzione magari per una banalità. E poi, per lenire il senso di colpa, si compra il Nintendo DS, ci si indebita pur di accontentare ogni capriccio del figlio, che da tutto ciò imparerà solo a capire che in fondo non bisogna sforzarsi tanto per ottenere ciò che si vuole, che basta lamentarsi, fare le vittime e tutto ci verrà dato. Peccato che la vita non funziona affatto così e a pagarne lo scotto saranno loro stessi di fronte alle prove della vita. Le madri non hanno voglia di fare le madri, fanno quel che devono fare perché devono farlo, ma in realtà pesa tremendamente perché abbiamo troppi pensieri per la testa: ci sono le madri in carriera, che escono di casa la mattina alle otto e rientrano la sera alle otto, stanche e distrutte e a quel punto di certo non capaci di occuparsi di un figlio.

Ci sono le madri che lavorano ma poi si sentono in colpa di farlo e quindi cercano di tamponare in tutti i modi compiendo azioni per lo più errate e inutili. Ci sono madri che sacrificano completamente se stesse per i figli, ma che poi in fondo non sono felici, magari non lo ammettono a se stesse, ma inevitabilmente gli proiettano addosso le loro frustrazioni. Tutte queste madri non sanno più parlare coi figli, non sanno parlare di emozioni, di sentimenti, non sanno più usare un’attività o un dialogo col figlio, e nemmeno sanno gestire i silenzi o le punizioni per trasmettere qualcosa di profondo, non sanno instaurare la relazione perché esse per prime non ci sanno più stare dentro, perché esse stesse, spesso e volentieri, nella loro relazione matrimoniale non ci sanno stare e vivono in modo completamente distorto il loro rapporto.

I padri non sanno più insegnare a vivere: non insegnano ai figli a fare i lavoretti di casa, non sanno insegnare ai figli che la vita ha anche le difficoltà che vanno prese come occasione per superarsi, non sanno comunicare autostima, spesso ne sono essi stessi mancanti. La vita è centrata sullo sbarcare il lunario, sullo stress quotidiano, sulle incombenze della giornata, c’è così poco spazio per se stessi che è ben difficile riuscire a trovarne altrettanto per insegnare a vivere ai propri figli…siamo noi i primi che la vita non la sappiamo gestire, che alla prima difficoltà ci arrendiamo e caliamo le braghe, ci facciamo vedere fragili come fuscelli…che idea possiamo mai dargli? Diamo peso alla quantità di tempo passato con loro, dandogliene troppo (e quindi soffocandoli) o troppo poco (e quindi facendoli sentire non amati) mentre non ci si rende per nulla conto che tutto sta nel come gestiamo quel tempo che per vari motivi abbiamo. Se ci mostriamo sicuri di noi, se crediamo in quello che facciamo, se sappiamo di potercela fare, se crediamo in noi, allora sapremo comunicare ai figli cosa significa vivere…se sappiamo vivere bene noi faremo vivere bene anche loro; se sappiamo ritagliarci degli spazi per noi stessi nella frenesia della vita sapremo insegnare anche a loro il valore del tempo; se saremo soddisfatti della nostra vita lavorativa sapremo insegnargli molte cose attraverso essa, vedendoci soddisfatti vedranno benissimo che quel tempo che passiamo fuori casa e non con loro ha uno scopo ben preciso e non faticheremo molto a comunicarglielo; se sapremo stare nelle nostre relazioni sapremo trasmettere anche a loro il valore dei sentimenti, se sapremo stare dentro le nostre emozioni sapremo insegnare anche a loro a viverle senza temerle.

Se sapremo fare frutto del tempo che abbiamo anche quel poco lo sapremo far valere, con noi stessi e con i nostri figli. In poche parole: se per primi non abbiamo capito cosa significhi vivere, se per primi non avremo imparato a volerci bene, se per primi non avremo imparato a sconfiggere i nostri mostri interiori: non possiamo insegnare ai figli cosa sia la vita, nei suoi lati belli e in quelli brutti, saremo scissi dentro, perché crederemo che sia tutto bianco o tutto nero, non accetteremo che la vita che fa crescere è anche dolore, siamo eterni bambini chiusi nell’ovatta e tenuti lontani a tutti i costi da ciò che fa soffrire e vivremo nella schizofrenia dei sentimenti e delle emozioni; non possiamo volere bene a dei figli se prima non sappiamo voler bene nemmeno a noi stessi e a chi ci sta intorno, se per primi non crediamo in noi, se per primi siamo fragili come piantine in serra; e come potremmo sconfiggere i demoni di nostro figlio se non abbiamo a suo tempo fatto i conti con ciò che dentro ci tormenta? Quali fantasmi potremo scacciare loro vita se noi per primi nella casa stregata non ci vogliamo entrare? Non esiste alcuna vittoria contro ciò per cui non siamo stati messi alla prova, nessuna vittoria contro ciò che non abbiamo voluto affrontare. Se non impareremo a tollerare e a entrare in contatto col buio delle nostre esistenze la nostra vita sarà un fallimento.

Ci riempiremo di relazioni superficiali create solo per tappare i vuoti interiori; ci chiuderemo nel nostro bastione ben protetto di false certezze credendo di poter evitare di guardare fuori; non vivremo appieno nessuna storia d’amore perché saremo incapaci di tollerare le difficoltà; ci sentiremo sempre insoddisfatti e aridi dentro perché non siamo entrati nei meandri della nostra anima a vedere cosa c’è, ci fermiamo alla soglia della nostra interiorità sentendo grida dabbasso ma senza avere il coraggio di vedere chi c’è sotto. Questo non è coraggio di vivere, questo è lasciarsi vivere dalla vita e dagli eventi, come tante marionette mosse da fili che nemmeno siamo in grado di vedere. Le nostre vite sono vuote e aride, facciamo tante cose senza nemmeno sapere perché le facciamo e non ne facciamo altre, magari le più vere.

Ci sentiamo pieni di sofferenza e dolore, ma non siamo capaci di viverlo e d’inquadrarlo nella giusta prospettiva, non lo sappiamo decodificare per capire cosa ci vuole dire, lo subiamo come un peso che ci è stato messo sulle spalle e magari ce la prendiamo col dio ingiusto (se siamo credenti), col destino crudele, con chi ci sta attorno, nel vano quanto costoso tentativo, in termini di energie personali, di dare la colpa a qualcosa che sta fuori di noi, senza capire che ciò che serve davvero a farci rinascere non è cercare il colpevole ma attivare noi stessi per fare qualcosa di costruttivo. Magari poi, siccome il dolore non lo vogliamo ascoltare nemmeno un po’, allora prendiamo il farmaco che lo metta a tacere, senza renderci conto che così lo stiamo solo ricacciando più a fondo ma non lo stiamo eliminando. Perché viviamo in modo schizofrenico la nostra vita, siamo scissi dalle nostre emozioni, da ciò che sta dentro di noi, cerchiamo le gioie nella vita, la felicità, senza nemmeno sapere di cosa stiamo parlando, perché non esiste felicità se non impariamo ad accettare anche i lati oscuri di noi stessi. Siamo proprio certi di volerla vivere così la nostra vita? Senza coraggio di guardarci dentro, magari sperando che eventi esterni a noi tapperanno gli spifferi? Si può anche mettere le toppe alle finestre, ma se non si sistema la casa alle fondamenta sarà difficile che prima o poi l’edificio non crolli…e sarebbe bene che lo troviamo il coraggio di andare là sotto a vedere cosa c’è che fa tanto rumore prima che poi quei mostri salgano al piano di sopra, in quella vita illusoria e in autentica che ci siamo costruiti.

DOTT.SSA CHIARA PICA

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