Oggi si assiste a una grossa difficoltà da parte dei genitori di essere figure autorevoli nei confronti dei figli. Ma cosa significa essere autorevoli? Significa che per educare davvero non si deve essere né, da una parte, un genitore autoritario, cioè quello che impone al proprio figlio il suo volere senza che egli possa opporre alcuna forma di obiezione, né, dall’altra parte, un genitore amico, cioè quello che si pone al pari del figlio ma diventa così incapace di redarguirlo, richiamarlo all’ordine se sbaglia, fargli riconoscere i suoi errori e dargli il giusto contenimento. Entrambi i tipi di genitore hanno i loro enormi svantaggi: il genitore autoritario rischia di far crescere un figlio ribelle o di contro inibito e chiuso; il genitore amico rischia di far crescere un figlio sbandato, senza il contenimento dato da regole e valori, che da adolescente si sentirà disorientato e incapace di agire responsabilmente.
Il genitore giusto è quello autorevole: egli fornisce al bambino una cornice sicura di regole e valori basilari ai quali non si può transigere e li comunica in modo non autoritario ma li fa comprendere al figlio nelle conseguenze che il suo comportamento ha per sé stesso e per chi lo circonda. Sono genitori capaci di negoziare le regole in base al contesto e favoriscono l’autonomia del figlio, riconoscendo in lui pregi e difetti.
Il genitore autorevole è anche in grado di esercitare la non sempre facile arte del rimprovero: se si vuole che il rimprovero arrivi dev’essere fatto in un certo modo: la maggior parte dei genitori non sa rimproverare bene. Per molti il rimprovero si riduce a un isterico sfogo aggressivo di tensioni personali accumulate o di fastidio e rabbia verso il bambino. Rimproveri del genere non arrivano affatto allo scopo e creano solo ribellione o annichilimento del bambino. Non deve trasparire alcuna rabbia dal tono della voce: esso dovrebbe essere fermo e deciso e la comunicazione dev’essere breve e centrata solo sul fatto da rimproverare, mentre spesso si usa la scusa di quel comportamento per andarne a richiamare altri tre che non hanno alcuna connessione temporale col fatto accaduto. Al rimprovero deve poi seguire un silenzio lapidario che fa entrare il messaggio in profondità, facendo analizzare al bambino le conseguenze del suo comportamento. Perdersi in un gorgo d’inutili prediche, ramanzine chilometriche e considerazioni fuori dal contesto serve solo a far perdere di efficacia il messaggio. O peggio ancora è l’uso del ricatto affettivo: “se fai così non ti voglio più bene”, un messaggio tremendo per il bambino che serve solo a minare la sua autostima e le sue sicurezze.
Stesso discorso va fatto nel caso in cui al rimprovero segua una punizione. Essa deve innanzitutto essere immediata: essa va assolutamente legata all’evento in corso e deve essere preceduta da una esaustiva spiegazione del perché si fa così. altrimenti rischiamo di apparire ai suoi occhi come bizzarri o ingiusti e cattivi. Ad esempio se un bambino traffica pericolosamente con il filo della lampada rischiando di farla cadere non ha senso urlargli contro e togliergli rabbiosamente il filo di mano: lui mica ragiona con le nostre concezioni, cosa ne sa delle conseguenze del tirare quel filo se non glielo spieghiamo?
Secondariamente non si deve mai punire o rimproverare in presenza dei coetanei: l’umiliazione sarebbe grandissima da sopportare. È saggio prenderlo da una parte e spiegargli, ad esempio, che tirare la sabbia in faccia all’amichetta non è educato.
La punizione dev’essere poi circoscritta nei tempi e nelle modalità: va messa in atto solo se davvero necessario, perché se diventa una routine quotidiana perde completamente la sua funzione. Ad esempio dire “stai senza il tuo gioco preferito per due mesi” non ha alcun senso, perché i tempi del bambino sono molto meno in prospettiva rispetto ai nostri e oltretutto si tratterebbe di uno sfogo rabbioso che certamente non manterremmo mai: dopo due giorni riavrebbe il suo gioco e ci vedrebbe solo come persone minacciose che urlano senza scopo.
Altra cosa fondamentale: si punisce l’azione in sé, mai il bambino: non si deve mai dire “sei un bambino cattivo” bensì “hai fatto una cosa inopportuna”. La migliore e più efficace modalità alternativa alla punizione è quella della riparazione del danno: cioè dare la possibilità al bambino di riparare il danno commesso tutte le volte che questo è possibile. Ad esempio se il bambino ha messo in disordine oltre ogni limite la sua camera sarà il caso che si attivi per rimetterla a posto. Questo tipo di provvedimento incoraggia il bambino, gli dà un ruolo che lo responsabilizza. Il bambino son pensa solo 2guarda come sono stato cattivo” ma anche“ posso riparare il danno”. Anche il genitore si risparmia una fatica e un’arrabbiatura, a patto però di concedere al bambino di fare le cose a modo suo, chiudendo un occhio se il risultato non è perfetto.
La dilazione temporale del provvedimento può essere più efficace nell’adolescenza, quando il senso del tempo diventa per i ragazzi più chiaro: per esempio se ha preso un brutto voto la sua paghetta verrà dimezzata oppure non andrà alla partita di calcio la settimana dopo. Stabilire delle regole chiare a priori come per esempio i soldi per i vestiti e le vacanze, il tempo da dedicare agli svaghi, rende a noi più facile il compito e fa crescere il ragazzo.
DOTT.SSA RITA GHERGHI